Si è svolta oggi a Trapani la 30ma Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti di mafia, organizzata da Libera.
Una marcia di oltre 50 mila persone, provenienti da tutta Italia, è partita dal lungomare con in testa don Luigi Ciotti e una grande bandiera della pace e ha invaso il centro di Trapani, fino a piazza Vittorio Emanuele, dove è stato allestito il palco.
Con don Ciotti, i vescovi di Trapani, Mazara del Vallo, Agrigento e Monreale, il segretario generale Cgil Maurizio Landini, il prefetto di Trapani Daniela Lupo e il presidente della commissione regionale antimafia Antonello Cracolici, la segretaria del Pd Elly Schlein.
Con loro, molti giovani, oltre 100 scuole siciliane, oltre 500 familiari di vittime innocenti della mafia e molti sindaci con la fascia tricolore.
In piazza anche gli ex procuratori nazionali antimafia Pietro Grasso e Federico Cafiero De Raho.
Dopo la lettura dei nomi delle vittime, 1101 persone, la manifestazione si è conclusa con il discorso accorato di don Ciotti, come sempre pieno di spunti di riflessione.
“Dobbiamo chiedere scusa a questa terra perché siamo arrivati troppo tardi.
Dovevamo arrivare molto prima per ricordare le tante vittime innocenti di mafia che ci sono stati in Sicilia. Dobbiamo ricordarli tutti con la stessa forza e con la stessa intensità.
Il miglior modo per ricordare le vittime è quello di impegnarci di più tutti ogni giorno.
Dobbiamo evitare la retorica della memoria, perché la vera memoria deve tradursi con l’impegno quotidiano”.
Un passaggio del suo discorso don Ciotti lo ha dedicato all’immigrazione e all’Europa.
“L’Italia è un Paese non del tutto libero, il processo di liberazione non è terminato, dove gli avversari di oggi si chiamano corruzione, mafia, diseguaglianze, povertà, abuso di potere.
Occorre fermare la deriva etica di un pezzo di mondo che abbandona alla deriva l’umanità più povera e fragile, come i migranti.
Noi ci riconosciamo nel Manifesto di Ventotene che porta un soffio di speranza e che ci chiede responsabilità e impegno”.
Quindi l’esortazione ad uscire dalle proprie certezze per impegnarsi a costruire insieme una società migliore.
“Singolarmente possiamo al massimo desiderare che le cose cambino, ma è solo il ‘noi’ a trasformare il desiderio in speranza e la speranza in impegno per realizzarla.
La speranza è un cammino da percorrere e, prima ancora, da tracciare insieme.
La speranza è di tutti o non è speranza.
Abbiamo bisogno di comunità, di essere più comunità tra di noi.
Di uscire dalla logica delle tribù, abbiamo bisogno di un noi, plurale, diversi.
Non corriamo il rischio di sentirci comodamente dalla parte giusta, la parte giusta non è un luogo dove stare, ma un orizzonte da raggiungere, e da raggiungere tutti insieme.
Unire le nostre fragilità per diventare una forza di cambiamento.
Il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi”.
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