La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della parte del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17, il cosiddetto salva Isab, che era stato impugnata dal Gip del Tribunale di Siracusa, Dott. Salvatore Palmeri, lo scorso 12 dicembre.
La Suprema Corte ha accolto le motivazioni del Gip di Siracusa, che nell’ambito dell’incidente probatorio in corso per accertare le ipotesi accusatorie avanzate dalla procura nel procedimento penale sul depuratore consortile Ias di Priolo Gargallo per disastro ambientale, aveva sollevato la questione di legittimità costituzione.
La norma impugnata è quella che prevede che, nel caso di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale o di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, consente al giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività se sono state adottate misure di bilanciamento tra le esigenze dell’attività produttiva e dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente.
La parte del decreto impugnata non prevede che le misure indicate si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.
I giudici hanno rigettato le osservazioni proposte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, e da dalle aziende interessate al provvedimento, Isab, Versalis e Sonatrach.
Nelle 32 pagine della sentenza, vengono ricostruiti io passaggi che hanno portato alla emanazione del decreto impugnato,
“Il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, consentendo la prosecuzione dell’attività produttiva pur a fronte dell’inidoneità del depuratore condotto da IAS spa a trattare i reflui industriali, avrebbe «sancito la prevalenza della continuità dell’attività produttiva, in un settore nevralgico come quello degli idrocarburi, rispetto ai beni giuridici dell’ambiente e della salute, sia dei lavoratori sia della popolazione vicina alle aree su cui insiste l’inquinamento», senza realizzare alcun effettivo bilanciamento tra i contrapposti interessi di rilievo costituzionale”.
La Corte ha evidenziato come il quadro normativo cambiato giustifichi l’orientamento diverso rispetto alla sentenza del 2013, che rigettò la questione di illegittimità costituzionale della norma salva Ilva.
Il nodo sembra essere la mancata fissazione di un termine massimo di durata di operatività.
Adesso toccherà al governo correre ai ripari, con un nuovo decreto che tenga conto delle censure contenute nella sentenza.
I tempi a disposizione sono intanto sempre più ristretti e la sentenza di oggi rappresenta un passo importante nella corsa per mettere al sicuro il polo petrolchimico del siracusano, assicurandone la continuità produttiva, nel rispetto delle norme che salvaguardano l’ambiente e la salute dei cittadini del territorio.
In ogni caso, la sentenza di oggi, con i suoi richiami ai più alti principi, rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza italiana, in particolare per la parte in cui si afferma il primato della salvaguardia della salute sull’economia.
“Resta fermo tuttavia che il nuovo testo dell’art. 41, secondo comma, Cost. vieta che l’iniziativa economica privata si svolga «in modo da recare danno» alla salute o all’ambiente: e nessuna misura potrebbe legittimamente autorizzare un’azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto”.
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