Nel corso di un incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è stato sottoscritto ieri un protocollo d’intesa sulla riconversione industriale di Versalis verso la tecnologia e la transizione green.
Tra le organizzazioni sindacali ha firmato l’accordo Cisl, Femca Cisl, Uiltec Uil, Ugl e Cisal.
La Filctem Cigil, che due ore prima della riunione era sotto la sede del Ministero per un sit in di protesta, si è dissociata e si è riservata la firma dopo un’attenta analisi del testo del protocollo.
Il protocollo prevede, da un lato, la ristrutturazione della chimica di base, con la fermata degli impianti di cracking e, dall’altro, lo sviluppo delle nuove piattaforme sostenibili della chimica circolare, bio e specializzata.
A Brindisi sorgerà invece una gigafactory di accumuli stazionari sviluppato in collaborazione con Seri Industrial SpA.
Queste nuove piattaforme tecnologiche dovranno garantire complessivamente il mantenimento dell’attuale intensità industriale e occupazionale.
L’azienda ha assicurato che il piano di trasformazione sarà attuato entro cinque anni e prevede investimenti per oltre 2 miliardi di euro, con una riduzione di circa 1 milione di tonnellate di CO2, pari al 40% delle emissioni di Versalis in Italia.
Ma se l’accordo garantisce il mantenimento degli attuali livelli occupazionali di Eni, a preoccupare il sindacato dei chimici Cgil sono le ripercussioni sul polo petrolchimico della chiusura del cracking di Versalis.
Le produzioni delle aziende sono infatti interconnesse, nel senso che i prodotti di una sono spesso utilizzati per le produzioni dell’altra.
Ci si chiede infatti se Sasol, ad esempio, avrà ancora interesse a mantenere lo stabilimento di Augusta, una volta che dovrà fare arrivare dall’estero l’etilene, utilizzato come prodotto di base per il ciclo di lavorazione e che oggi riceve direttamente dallo stabilimento di Priolo.
I segnali di crisi dello stabilimento dell’azienda sudafricana ci sono già, con due impianti su quattro che hanno interrotto la produzione.
Altre ripercussioni potrebbero subire Isab e la stessa Sonatrach, che forniscono a Eni prodotti semilavorati, come Air Liquide.
Quello che si teme, in sostanza è un effetto a catena sull’intero comparto, di cui il protocollo non sembra farsi carico.
Il ministro Urso ha espresso soddisfazione per l’accordo raggiunto.
“Raggiunta una tappa fondamentale verso un futuro sostenibile per il settore chimico.
Non ci siamo arresi di fronte alle difficoltà, ma abbiamo scelto di guardare al futuro, trasformando una crisi in un’opportunità straordinaria per rilanciare la chimica, rendendola un settore competitivo e protagonista della transizione green”.
Dello stesso tenore i commenti degli assessori regionali Dagnino e Tamajo, che sottolineano l’impegno di Eni a garantire i livelli occupazionali a Priolo e Ragusa.
Diversa invece la valutazione del presidente della Regione Emilia Romagna Michele de Pascale, preoccupato per le ripercussioni sugli stabilimenti di Ferrara e Ravenna, dove lavorano 8.600 addetti, compreso l’indotto.
“Nel Piano messo in campo da Eni-Versalis, un progetto conservativo, non siamo certi che la chimica sia valorizzata come fattore strategico per il Paese.
Siamo davanti di fatto alla fine della chimica di base. E questo ci preoccupa, soprattutto in assenza di una strategia nazionale sulla parte di chimica nazionale che rimane attiva, in particolare in Emilia-Romagna”.
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