Il disegno di legge Calderoli, in discussione al Senato, una volta approvato potrebbe cambiare in modo significativo le nostre vite di cittadini. Proviamo a capire perché.
Il disegno di legge n. 615, attualmente in discussione alla Commissione affari costituzionali del Senato, contiene le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Si tratta della legge, che porta il nome del ministro delle riforme Calderoli che una volta approvata, completerà il quadro necessario a rendere effettiva l’autonomia differenziata.
Ma è il caso di andare con ordine, cominciando a sgombrare il campo da qualche equivoco.
La Costituzione della Repubblica, approvata nel 1947, prevede l’autonomia speciale concessa a quattro regioni, tra cui la Sicilia, e due province autonome per dare strumenti straordinari, anche legislativi, a quelle regioni che, per diversi motivi, non ultima l’ubicazione geografica, avrebbero avuto maggiore difficoltà, a colmare più rapidamente lo svantaggio economico o socioculturale con il resto dell’Italia.
L’autonomia differenziata è invece una cosa del tutto diversa, che va nella direzione opposta.
Dà la possibilità alle regioni a statuto ordinario che ne faranno richiesta, di ottenere la competenza legislativa, pressoché esclusiva, in tutte o alcune delle 23 materie, previste nell’articolo 117 della Costituzione, nelle quali lo Stato si riserva la legislazione esclusiva, nelle materie devolute alle regioni, solo per quanto riguarda le norme generali.
Tra queste ci sono la sanità, l’istruzione, l’ambiente.
Il principio è quello di consentire alle regioni che ne hanno la possibilità, soprattutto quella finanziaria, di poter migliorare la quantità e la qualità dei servizi offerti ai cittadini, liberandole dal ‘peso’ delle regioni più in difficoltà.
Le regioni più ricche potranno fornire una scuola, una sanità, e altri servizi di qualità superiore a quelle più povere.
Di fatto un colpo alla solidarietà e all’unione della Repubblica, quella che l’articolo 5 della costituzione definisce unica e indivisibile.
È come se, parafrasando Cavour, fatta l’Italia rinunciassimo a fare gli italiani.
Se così fosse, il prossimo passaggio sarebbe naturale: senza gli italiani, a cosa serve l’Italia?
Per capire che non si tratta di slogan, basta leggere il testo delle norme di cui parliamo.
L’articolo 117, quello che permette quello di cui parliamo, è strato modificato nel 2001, con la legge costituzionale n. 3, che introduce ‘Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione’, fu introdotto dal governo presieduto dall’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema, sotto la spinta delle parole d’ordine della Lega Nord, in quegli anni secessionista e antimeridionalista.
Erano gli anni in cui i partiti facevano a gara a chi si dichiarava più federalista, per rincorrere l’agenda politica imposta dalla Lega Nord.
Secondo il disegno di legge Calderoli, lo stato dovrà definire i LEP, i livelli minimi delle prestazioni, che dovrebbero essere finanziati con un fondo per le Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale.
Un grande giurista, Gianfranco Viesti, lo ha definito “la secessione dei ricchi”.
Tre regioni, Lombardia, veneto ed Emilia Romagna, hanno presentato le bozze di intese con il dettaglio delle materie di cui chiedono la competenza esclusiva.
Una prima bozza fu firmata dalle tre regioni nel 2016 con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, tre giorni prima delle lezioni politiche.
Le bozze furono successivamente modificate, aggiungendo poteri maggiori su Salute, Politiche del lavoro e Istruzione.
La prima volta dal governo ‘gialloverde’ nel 2019, con presidente Giuseppe Conte, e la seconda dal governo giallorosso, il Conte II, nel febbraio del 2020, proprio all’inizio della pandemia.
In un prossimo articolo, con l’aiuto di esperti, proveremo a entrare nel merito delle materie che diventerebbero di competenza regionale.