Rimango in politica. Se non avessi fiducia nel sistema giustizia, non sarei ancora qui, alla mia età, a svolgere funzioni pubbliche.
In una conferenza stampa, visibilmente provato emotivamente, Pippo Gianni, affiancato dai suoi legali, gli avvocati Ezechia Paolo Reale e Maria Scrofani, ha rivendicato le ragioni della politica, affermando di essere vittima del suo temperamento e di un paradosso: “sono atto arrestato per non aver commesso il fatto.
Il sindaco dimissionario di Priolo ha rivendicato la scelta personale di non dimettersi subito dopo l’arresto, per testimoniare la ‘frizione’ che esiste tra le esigenze della giustizia e quelle della democrazia.
È un leone ferito, ma deciso a combattere per affermare le sue ragioni.
Ripercorre le tappe delle sue vicende giudiziarie e trattiene a stento le lacrime, si interrompe per l’emozione più volte, applaudito da un gruppo di suoi sostenitori, quando parla del dolore e del disagio provocati alla sua famiglia.
Rivendica la correttezza della sua azione politica e l’onestà dei suoi comportamenti.
“Non ho mai chiesto niente a nessuno per me né per la mia famiglia.
Nel mio animo sono certo di essere innocente e di essere ben distante dalla persona descritta nei provvedimenti giudiziari, ma comprendo anche che la mia esuberanza e la mia eccessività verbale, a tutti ben nota, possa diventare oggetto di un asettico giudizio penale di compatibilità tra tale atteggiamento e la carica pubblica ricoperta”.
Pippo Gianni non abbandonerà il suo impegno politico, e non esclude la sua ricandidatura a sindaco nelle elezioni della primavera prossima, ma “a condizione che questo non venga considerato un atto di sfida alla magistratura, che rispetto”.
Invita quindi la stampa a seguire il processo, che inizierà il prossimo dieci marzo con il rito abbreviato, che vuole trasformare in un evento mediatico.
“Il processo conserverà un grande valore, non solo per la mia personale posizione, ma come esempio di quanto, a torto o a ragione un Sindaco possa essere esposto a valutazioni giudiziarie, esterne al mondo della politica e dell’amministrazione, che possono giungere a conclusioni opposte a quelle del mondo giudiziario.
Sarà un processo nel quale si tenterà di capire qual è il confine tra la concussione e la politica industriale; la corruzione e la ricerca del consenso elettorale; le pressioni indebite e l’esercizio dei poteri di direzione e indirizzo dei funzionari comunali.
Sarà un processo nel quale possono essere compresi disagi e pericoli del singolo amministratore, ma più in generale di chi esercita una carica politica; nel quale, chi vorrà, potrà comprendere perfettamente i motivi per cui da anni politica e magistratura non hanno capacità di dialogo e armano uno scontro tra poteri estremamente dannoso per la nostra società.”.
Secondo Gianni, la sua imputazione è dovuta a “condotte che alcuni reputano illecite ed altri normali, se non addirittura doverose, senza che vi sia una linea guida, una chiara possibilità di distinguere e comprendere cosa si può e cosa non si può fare, per ottenere risultati di interesse pubblico”.
È convinto che gran parte delle contestazioni mosse dagli inquirenti riguardano l’interpretazione di “richieste, parole, o addirittura semplici gesti, che non hanno poi avuto alcun seguito nella realtà: una realtà che è rimasta immodificata e ha seguito il corso precedente, senza essere minimamente intaccata da quelle richieste”.