L’amicizia, al di là di proclami e sorrisi di circostanza, è una categoria che ha poco a che fare con la politica e meno ancora con il governo.
Una coalizione politica non è certo un’allegra comitiva di amici, nasce per la necessità di raggiungere il numero di alleati necessario per poter governare, ma con la consapevolezza che ognuno di loro farebbe volentieri a meno del fardello costituito dall’alleanza.
Capita quindi che tra alleati volino gli stracci e si risolvano le divergenze a schiaffoni, in senso metaforico si intende.
Ma destra e sinistra hanno un modo antropologicamente diverso di stare assieme e di litigare.
Senza addentrarci in analisi al fuori dalla nostra portata, né voler mancare di rispetto a chi come Gaber o Bobbio, si è cimentano nella spiegazione delle distinzioni tra destra e sinistra, proviamo a dare una nostra interpretazione sommaria a partire da quello che sta succedendo all’Assemblea Regionale Siciliana, il parlamento della regione dove la maggioranza di centrodestra è in frantumi, con i partiti che si pugnalano a vicenda.
Tutto sembra essere cominciato la settimana scorsa, con la bocciatura a sorpresa di una legge fortemente voluta da Fratelli d’Italia, che con Forza Italia è uno dei due azionisti di maggioranza delle coalizione.
Si trattava di cambiare le norme sulla ineleggibilità, in modo da bloccare l’esecuzione delle sentenze che hanno decretato la decadenza di quattro parlamentari, tre di FdI e uno di Sud chiama Nord, che ora dovranno invece cedere il seggio ai candidati delle stesse liste sconfitti alle elezioni di ottobre 2023.
La cosa non è stata presa per niente bene dal partito della Meloni, cha ha immediatamente restituito la pugnalata agli alleati, bocciando con voto segreto e dopo aver dato ampie rassicurazioni, la legge di riforma delle province tanto cara al presidente della regione Schifani.
Tra le due bocciature c’è stata la nomina dei direttori generali della sanità, che ha lasciato più di un mal di pancia, al punto che gli assessori di FdI non hanno partecipato alla riunione di giunta che le ha ratificate.
Di fatto è crisi di maggioranza, ma è un termine che a destra è proibito pronunciare, pertanto tra proclami di unità e abbracci, si andrà avanti fino alla elezioni europee di giugno e dopo si regoleranno i conti, probabilmente con un rimpasto nel governo regionale.
All’Ars, su un totale di 80, la maggioranza può contare su 41 deputati, contro i 29 dell’opposizione.
13 sono parlamentari di FdI, 13 di FI, 6 della Lega, 5 della DC e 4 del Mpa.
L’opposizione è invece rappresentata dal 11 deputati del M5S, 11 del Pd e 7 di Sud chiama Nord, il movimento di Cateno De Luca.
Per capire come vanno realmente le cose nella maggioranza, bisogna però fare un passo indietro e ricordare come la mancata ricandidatura di Musumeci alla presidenza della regione, imposta dalla Lega, non sia mai stata digerita dal partito della Meloni.
Qualche giorno fa, nel Duomo di Catania si sono trovati fianco a fianco, in occasione della messa pontificale di Sant’Agata, proprio Nello Musumeci, oggi ministro, e il vicepresidente della Regione Luca Sammartino, della Lega.
Nel momento della celebrazione in cui l’arcivescovo Renna ha invitato i fedeli a scambiarsi il segno della pace, i due non ci ha hanno pensato proprio a farlo, si sono invece girati in modo da darsi le spalle, evitando così perfino di incrociare gli sguardi.
Le cose non vanno meglio all’interno della Lega in Sicilia.
In vista delle elezioni europee, Salvini ha sostituito il commissario regionale, l’eurodeputata Annalisa Tardino, di Licata che sarà capolista alle elezioni, con il sottosegretario Claudio Durigon.
Durigon è lo stesso che nel 2021 fu costretto a fare un passo indietro, di lato dice lui, dal governo Draghi dopo aver scalato le prime pagine della stampa nazionale, con la proposta di rimuovere l’intitolazione a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino di un parco pubblico a Latina, la sua città, per ripristinare la vecchia denominazione ad Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito Mussolini
Neanche il suo esordio da commissario è stato dei più tranquilli.
La sua prima uscita è stata a Messina, una conferenza stampa alla quale erano invitati gli eletti della Sicilia, per nulla apprezzata dall’ex commissaria Tardino, che avrebbe preferito che ad essere coinvolti fossero soprattutto i militanti.
“I non eletti che anzi solo per spirito di militanza, e non perché si fottono un bello stipendio dalle istituzioni (me compresa) sono da tenere più in considerazione dei non parlamentari”.
Aria di tempesta quindi nel centrodestra siciliano.
A questo punto sembrerebbe una grande occasione per l’opposizione di farsi finalmente sentire.
Sud chiama Nord, Pd e M5s hanno infatti subito annunciato la costituzione di un “comitato di liberazione della Sicilia dai comitati d’affari”, un progetto che dovrà partire “almeno due anni prima della scadenza naturale di questa legislatura, lavorando con uno schema ufficiale e trovando la sintesi per coinvolgere territori ed elettori”.
L’idea non ha suscitato grandi entusiasmi tra i militanti, soprattutto a Messina dove Pd e De Luca se le suonano da anni di santa ragione.
Solo qualche giorno dopo l’annuncio, Cateno De Luca, che ritiene scontato sia lui il leader della coalizione, ha detto di voler incontrare il presidente Schifani assieme al M5S Sunseri che ha designato assessore per le prossime elezioni.
Gli ha fato eco, subito dopo, il coordinatore regionale del M5S Nuccio di Paola, che ha annunciato che anche lui incontrerà Schifani e, anche lui autoproclamandosi candidato alla presidenza della regione, porterà con sé Ismaele La Vardera di ScN, già designato come assessore.
In attesa del candidato, anche lui o lei unitario del partito democratico, registriamo ancora una volta la differenza che c’è tra la destra e la sinistra di oggi.
Tra liti e divergenze, la destra dimostra sempre la capacità di trovare la sintesi tra le diverse posizioni e ambizioni, mettendo assieme i diversi interessi.
La sinistra invece, tra valori proclamati e intenzioni, trova sempre il modo di dividersi.
Ci sarà sempre qualcuno che non è abbastanza qualcosa o troppo qualcos’altro da poter essere alleato.
E questa è la vera assicurazione per la durata della maggioranza di centrodestra.