È di pochi giorni fa la notizia della notifica, da parte di agenti della Guardia di Finanza, dell’avviso di conclusione indagini a 33 medici dell’ospedale Umberto I di Enna con l’accusa di truffa.
Per la Procura della Repubblica di Enna i medici, buona parte dei quali anestesisti, avrebbero effettuato interventi chirurgici programmati, trasformandoli in urgenti in modo da giustificare la prestazione, e quindi la retribuzione, straordinaria gonfiando così il proprio stipendio.
L’accusa non sarebbe quindi di aver timbrato il cartellino senza lavorare, ma semmai di aver lavorato troppo quando non era necessario.
Nel pubblico impiego, infatti, il lavoro straordinario non giustificato da esigenze reali è un reato.
I medici respingono le accuse ribadendo come la timbratura dei cartellini oltre le ore di lavoro ordinario sia stata necessaria per garantire il diritto alla salute dei pazienti, nonostante l’organico di 14 unità, a fronte delle 25 previste, e che proprio le prestazioni aggiuntive hanno permesso, nel 2023, di effettuare ben 4.100 interventi chirurgici.
In realtà quei medici si occupano oltre che delle attività in sala operatoria, anche della guardia attiva di Rianimazione, di Emergenze urgenze, di terapia del dolore, di nutrizione artificiale, le prestazioni di vascular team e di partoanalgesia.
I medici hanno diffuso un documento nel quale spiegano le loro ragioni e precisano come andranno ora le cose.
“Con l’organico in atto presente da lunedì prossimo saranno garantite esclusivamente: la guardia attiva di terapia intensiva rianimatoria e la guardia attiva per la gestione delle urgenze ed emergenze intraospedaliere.
Saranno inoltre assicurate complessivamente, da dividere tra le diverse branche chirurgiche, solo 10 sedute operatorie settimanali anziché le 27 assicurate sino ad oggi con grave sacrificio personale di ogni singolo anestesista.
Ci scusiamo con la popolazione per i disservizi che questa decisione provocherà.
Tutto quello che è stato fatto è stato concordato preventivamente con l’amministrazione dell’Azienda sanitaria provinciale”
Non conosciamo i dettagli dell’indagine, ma quello che ci colpisce è come sembra passato un secolo dalla tragedia collettiva della pandemia, dall’inno nazionale cantato a squarciagola dai balconi alla certezza che ne saremmo usciti tutti migliori e all’impegno che la sanità sarebbe diventata la priorità assoluta.
Quando i medici, e con loro tutto il personale sanitario, erano gli eroi.
Molti di loro lo sono stati fino in fondo, al costo del sacrificio della vita.
Dopo appena due o tre anni, di tutto quello cosa rimane?
Il sistema sanitario è a pezzi, degli investimenti straordinari promessi non abbiamo traccia.
L’accesso alle cure è più difficile, al punto che sono sempre di più i cittadini che rinunciano a curarsi.
La mancanza di medici e personale, rende sempre più critiche le condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei pronto soccorso in particolare.
Manca perfino il medico di famiglia in alcuni paesi in alcune zone periferiche delle grandi città.
Sono sempre di più i medici, vittime di un numero crescente di aggressioni e di condizioni di lavoro difficili, in fuga verso posti più tranquilli.
E ora, dall’essere celebrati come eroi, sono accusati di essere dei ladri.
Davvero dalla pandemia, ormai rimossa, siamo usciti migliori?