Partita dalle università americane, la protesta in favore della Palestina è arrivata in Europa.
Da qualche settimana sono in rivolta gli studenti di Bologna, Napoli e Roma e ora la protesta ha attraversato lo stretto per arrivare a Palermo.
Anche nel campus dell’Università di Palermo sono state piantate le tende dagli studenti per protestare contro “il genocidio del popolo palestinese”.
“Sono mesi che lavoriamo con l’università di Palermo per chiedere l’interruzione degli accordi di ricerca con le università e le aziende israeliane complici del genocidio con le aziende italiane che sostengono le politiche belliche.
Vogliamo prendere parte a una pagina della storia e non tirarci indietro soprattutto in seguito agli attacchi a Rafah”.
Così gli studenti del collettivo universitario Scirocco che, insieme ai giovani palestinesi, hanno organizzato la manifestazione.
La protesta contro la guerra e per un mondo pacificato rappresenta un segno di vitalità e di speranza per tutti, tanto più se a chiederlo sono i giovani.
Ma questa protesta mette anche a nudo molte contraddizioni e svela pregiudizi dei giorni nostri.
A cominciare dell’usura delle parole, definizioni usate spesso in modo del tutto improprio fino a violare la sacralità del loro significato storico.
Quello che il governo di Israele sta compiendo contro il popolo palestinese è un crimine contro l’umanità.
Non è un genocidio.
L’Onu definisce genocidio l’azione tesa a distruggere “un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Hitler, nel secolo scorso, voleva cancellare il popolo ebraico, anzi ‘la razza ebraica”, perché considerata inferiore e indegna di esistere.
Israele vuole eliminare il gruppo terroristico militare di Hamas, non il popolo palestinese.
Quello di contaminare la storia con l’attualità è un vizio sempre più diffuso nella nostra società, è il presupposto di ogni revisionismo e ricostruzione di comodo.
I nostri giovani chiedono alle loro università di interrompere ogni rapporto di collaborazione con quelle israeliane.
Nulla sul rapporto con quelle russe, o iraniane o di altri paesi in cui non sono rispettati i diritti umani essenziali.
Pervasi da un enorme senso di colpa, noi occidentali siamo talmente impegnati a combattere l’Occidente, da dimenticare che combattiamo noi stessi, e non lo facciamo per migliorare il nostro modello sociale e culturale, ma per demonizzarlo e auto distruggerci.
Si dimentica, per esempio, che la reazione militare di Israele, eccessiva, crudele e smisurata, che va fermata subito, è conseguenza dell’attacco terroristico del 7 ottobre, quando gruppi di Hamas hanno ucciso 1.194 cittadini israeliani e rapiti circa 300, per impedire la firma di un importante accordo tra Israele e l’Arabia Saudita che avrebbe rappresentato un importante passo verso la pace nell’area mediorientale.
Molte vittime dell’attacco sono ragazzi che partecipavano a un rave party, molte sono donne e alcuni bambini.
I racconti e le immagini, diffuse dagli stessi terroristi, testimoniano di atti di crudeltà e di stupri delle donne rapite.
Su questo non c’è stata la mobilitazione dei movimenti femministi che ci si poteva aspettare.
Qualche sera fa, intervistata nel corso di una trasmissione televisiva, una giovane portavoce degli studenti attendati all’università di Bologna ha detto che la protesta è “per sostenere la resistenza dei palestinesi contro il ‘genocidio’ in corso da parte di Israele”.
Alla domanda della giornalista, se fossero quindi schierati dalla parte di Hamas e dell’Iran che finanzia e sostiene il gruppo terroristico, la ragazza ha ribadito che gli studenti stanno dalla parte di tutti quelli che sostengono la resistenza contro Israele.
E qui il tornante della storia sembra prendersi ancora una volta gioco della ragione.
Giovani che protestano a favore di un regime, quello iraniano, che calpesta i diritti civili delle donne in particolare e di un gruppo terroristico che uccide e massacra i civili.
Tra di loro ci sono molti omosessuali, che dimenticano forse che in quei paesi l’omosessualità è illegale ed è punita con la pena di morte, che può essere commutata con la reclusione o la fustigazione.
È il caos della storia e del suo racconto di comodo.
Solo qualche settimana fa, del resto, in occasione della celebrazione della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, abbiamo assistito a quello che ormai è diventato un triste rituale.
Gruppi di manifestanti hanno insultato a tentato di aggredire i rappresentanti della comunità israelitica, che sfilavano in omaggio ai tanti morti della brigata ebraica che si sono sacrificati combattendo a fianco della resistenza.
I manifestanti sventolavano le bandiere di Ucraina e Palestina, popoli che erano invece alleati di Hitler.
Si celebrava la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo!
Un altro corto circuito della storia.
Del resto, da un recente sondaggio dell’Istituto Piepoli, è emerso che il 28% degli italiani, quasi uno su tre, non si sente coinvolto dalla celebrazione del 25 aprile e l’8% afferma di non avere un’opinione.
A dichiararsi molto o abbastanza antifascista è solo il 63%, meno di due terzi, mentre ad affermare di non avere un’opinione è il 10% del campione.