“Sulle strutture ospedaliere miste, nella provincia di Catania, continuiamo a ribadire per l’ennesima volta la nostra proposta di implementare nell’immediato strutture alternative e siamo contenti che il comitato spontaneo dei sindaci abbia sposato questa linea di buonsenso che sosteniamo da tempo.”
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Ad intervenire è la Ugl catanese che si dice amareggiata per la querelle scoppiata attorno la questione della destinazione d’uso di alcuni nosocomi, in primis quello di Acireale, non comprendendo alcune scelte operate in questi giorni dalla Regione.“Consapevoli che quella del Covid-19 non sarebbe stata un’epidemia passeggera, nello scorso mese di maggio avevamo fortemente sostenuto la necessità di riattivare con funzione specifica gli ospedali dismessi che in città, fortunatamente, hanno ancora padiglioni funzionali per l’accoglienza delle persone malate a bassa intensità. Invece da alcune settimane assistiamo a spostamenti di reparti e di quasi un intero ospedale, la parziale chiusura di un pronto soccorso, il tentativo di locare una ex casa di cura, che per noi hanno il sapore dei tentativi più che di vere e proprie soluzioni – dice il segretario territoriale della Ugl Giovanni Musumeci, unendosi alle preoccupazioni espresse dai segretari delle federazioni provinciali Sanità e Medici, Carmelo Urzì e Aurelio Guglielmino. Cosa è cambiato dalla scorsa primavera ad ora perché fosse impedita la riapertura, ad esempio, dell’ospedale Vittorio Emanuele? Alla questione di mancanza di personale crediamo poco, considerato che oggi proprio su questo tema la confusione regna sovrana visti i recenti provvedimenti adottati da qualche azienda ospedaliera. Nel caso dell’attivazione del reparto Covid nella palazzina privata di via Da Bormida non ci vorrebbero lo stesso i medici e gli infermieri? E perché ci si lamenta della carenza di professionisti quando ci sono graduatorie concorsuali definitive, dalle quali si può attingere immediatamente, nonché diversi medici ed infermieri che, ad esempio, fuori dall’orario di lavoro si aggregano ad equipe operatorie in ospedali pubblici di altre province? Invochiamo quindi decisioni che siano prima di tutto improntate sulla logica del buonsenso e non su strane alchimie. I locali pubblici sono già disponibili e nei nostri ospedali, adesso, ci sono sanitari pronti a lavorare in aggiunta alle loro ore in cui prestano già servizio, ma ci sono anche lavoratori e specializzandi pronti a trasferirsi dai reparti che invece dovrebbero essere al momento da accorpare ad altri reparti, dato che il numero di ricoveri e di prestazioni non urgenti è giustamente calato”.
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“Chiediamo, considerato l’elevato numero di pazienti che necessitano le cure a bassa intensità, di approntare con estrema rapidità luoghi di ricovero pubblici che siano al di fuori dei nosocomi, così come proponiamo nuovamente l’impellenza di un convenzionamento con i gestori delle case di riposo disposti a ricever il paziente Covid che non ha bisogno di essere curato in ospedale. In queste strutture, ad esempio, ci sono già le risorse professionali disponibili e si potrebbero così recuperare molti posti letto indispensabili. Infine – concludono Musumeci, Urzì e Guglielmino – continuiamo a non capire la coltre di silenzio che è calata sul pronto soccorso dell’ospedale San Marco. E’ assurdo che il centro Covid sia a Librino e che i pazienti debbano invece passare prima per il pronto soccorso del Policlinico ed essere trasferiti in ambulanza. Bisogna fare in modo, con estrema attenzione, che tutti i percorsi siano separati poiché questa promiscuità di ambienti rischia di diventare sempre più pericolosa e se si ammala un medico o un infermiere diventa un serio problema. Se questo è il momento della responsabilità, noi come Ugl non possiamo che continuare ad offrire proposte a nostro avviso improntante sull’equilibrio e sulla praticità per affrontare al meglio questa preoccupante seconda ondata, con l’auspicio che vengano accolte da chi oggi è chiamato ad assumere i provvedimenti.”