Sono passati quarant’anni da quel 5 gennaio del 1984, quando Pippo Fava veniva ucciso da un killer in un agguato della mafia catanese, in via dello Stadio, davanti all’ingresso del teatro Stabile, dove si trova per prendere la nipotina che debuttava in uno spettacolo che aveva scritto proprio lui.
Era nato a Palazzolo Acreide 59 anni prima e aveva appena lasciato la redazione della sua più importante creatura giornalistica, I Siciliani, il giornale di impegno civile e di lotta contro la mafia e la sua tenace cultura di violenza e di morte, che aveva fondato dopo aver lasciato la direzione del Giornale del Sud.
Sarà ricordato oggi a Catania in via Fava, davanti alla lapide dove alle 17 si concentrerà il corteo proveniente da via Roma.
Alle 18, al Centro Zo, in piazzale Rocco Chinnici, si terrà il dibattito, moderato da Luisa Santangelo, “Fare (non solo) memoria”, al quale parteciperà il figlio Claudio.
In sua memoria, la Fondazione Fava ha promosso, in collaborazione con l’USR Sicilia, un concorso giornalistico rivolto a studenti delle scuole superiori della regione.
Appena una settimana prima di essere ucciso, il 28 dicembre 1983, in quella che sarebbe la sua ultima intervista televisiva, a Enzo Biagi nella trasmissione Film Story in onda sulla Televisione della Svizzera Italiana, aveva denunciato ancora una volta la connivenza tra potere politico e mafia: “I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione.
Tutto parte dall’assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana e forse anche della nostra democrazia”.
Sapeva di essere nel mirino della mafia.
“Essere siciliani vuol dire, tra l’altro, vivere nell’antica ed eterna contraddizione tra infelicità e speranza”.
“Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…”.
Per capire in fondo il valore e il vero significato dei suoi lavori e del suo impegno bisogna tornare al clima di Catania di quegli anni, sotto la morsa del clan Santapaola.
Tra i suoi articoli, rimane memorabile “I quattro cavalieri dell’apocalisse”, un’inchiesta-denuncia sulle attività illecite dei quattro imprenditori catanesi che controllavano l’economia della città.
Con il suo linguaggio diretto, senza giri di parole, Fava collegava i cavalieri del lavoro, Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, e altri personaggi come Michele Sindona, con il clan del boss Nitto Santapaola.
Pippo Fava era un uomo di cultura impegnato nel giornalismo, nella pubblicazione di libri e nel teatro.
Tra le sue opere teatrali, Cronaca di un uomo, con il quale vinse il Premio Vallecorsi, e La violenza, che diventò anche un film diretto da diretto da Florestano Vancini, e Gente di rispetto, da cui fu tratto il film omonimo, diretto da Luigi Zampa ed interpretato da Franco Nero, Jennifer O’Neill e James Mason.
Come in molti degli omicidi di mafia di quegli anni, le indagini puntarono su moventi di carattere personale, nel caso di Fava si parlò di delitto passionale, si indagò a fondo sulle sue abitudini personali, sulle sue frequentazioni.
La prima sentenza arrivò nel 1998, con la conclusione del processo “Orsa Maggiore 3”.
Per la sentenza definitiva bisognò aspettare il 2003, quando la Corte di Cassazione ha condannato Santapaola ed Ercolano all’ergastolo e Avola, nel frattempo pentitosi, a sette anni patteggiati.
Il figlio Claudio, che giovanissimo condivise con lui l’esperienza de I Siciliani, e che ha raccolto la sua eredità, ha ricostruito l’indagine che portò all’individuazione di mandanti ed esecutori dell’omicidio, in un lavoro teatrale di vent’anni fa, “L’Istruttoria. Dal processo al teatro” uno studio drammaturgico basato rigorosamente sugli atti del processo.
Nell’opera, che fu apprezzata dalla critica e dal pubblico, i testimoni che si alternano sulla scena raccontano pezzi della società in cui è maturato il delitto, Grazie anche alla bravura del regista Ninni Bruschetta ed alla straordinaria interpretazione dei due attori protagonisti, Claudio Gioè (Salvo Licata, l´amico di Peppino Impastato, ne “I cento passi”) e Donatella Finocchiaro (Angela nel film di Roberta Torre).