Una notte da incubo, spesa in fughe precipitose e disperate, richieste di aiuto e informazioni. Fu questo il clima che si avvertì nella notte del 19 maggio 1985, quando un incidente si generò nello stabilimento ICAM di Priolo a causa dello scoppio di due serbatoi di etilene, con cinque esplosioni che svegliarono Augusta e Melilli seminando, come riportano i quotidiani dell’epoca, angoscia e paura.
Un quadro apocalittico che fece tremare mezza Sicilia. Infatti, le fiamme dell’incendio illuminarono a giorno il cielo notturno al punto tale da essere visibili a centinaia di kilometri di distanza.
Se lo ricorda bene anche lo stoico Palmiro Prisutto, parroco augustano da anni impegnato in una lotta titanica nella difesa dell’ambiente, che in quella notte “percepii subito la gravità del momento. Nell’arco di pochi minuti – afferma Prisutto – vidi il cielo illuminato, come se fosse pieno giorno, e ho temuto il peggio. Ho sentito un boato, seguito dal botto vero e proprio e da una serie di piccole, ma acute, esplosioni che costrinsero tutti gli abitanti di Augusta, Priolo e Melilli a evacuare“.
Prima ancora del disastro nucleare di Chernobyl del 1986 e del terremoto del 1990, già in quel periodo ad Augusta venne avanzata l’ipotesi di elaborare un piano di sicurezza e di evacuazione per eventuali disastri sismici e ambientali in quanto, come ricorda lo stesso Prisutto, “il ponte ad Augusta (viadotto Federico II di Svevia, ndr) non esisteva, quindi l’unica via d’uscita da percorrere era quella che conduceva alla Porta Spagnola. Il ponte venne costruito soltanto dopo il terremoto del 90, nonostante, tramite una raccolta di più di 11.000 firme, avessimo chiesto a gran voce la sua costruzione già qualche anno prima. L’idea fu quella di collegare con un ponte l’isola con la Borgata, ovvero la terraferma, per poterlo utilizzare in caso di disastro, sia industriale che sismico“.
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