In occasione del 208° anniversario della costituzione del Corpo di Polizia penitenziaria, la segreteria provinciale Sippe (Sindacato italiano polizia penitenziaria) ha voluto esprimere un pensiero che riflette la realtà di questa professione poco conosciuta e spesso fraintesa.
Le parole del sindacato pongono l’accento su un lavoro che, nonostante le difficoltà e le carenze strutturali, rimane fondamentale per il sistema penitenziario e per la sicurezza della società.
In un contesto dove il numero dei detenuti è in continuo aumento e le risorse umane sono sempre più scarse, gli agenti di Polizia penitenziaria sono chiamati a svolgere una funzione delicata e complessa: quella di incarnare la Legge, ma anche di cercare di “far diventare amico il nemico”.
Un concetto che sembra paradossale, ma che è alla base del loro operato quotidiano.
Il personale di Polizia penitenziaria, infatti, è ben lontano dall’immagine stereotipata del “secondino” o della “guardia carceraria”, ruoli spesso riduttivi e non correttamente rappresentativi della loro missione.
Gli agenti, uomini e donne impegnati nelle carceri di tutta Italia, sono poliziotti al servizio dello Stato, che affrontano quotidianamente situazioni difficili e pericolose.
Nonostante la cronica carenza di organico e le strutture insufficienti, sono loro a garantire la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari.
Il loro lavoro non si limita alla sorveglianza, ma include anche il difficile compito di prevenire i tentativi di suicidio da parte dei detenuti, un fenomeno che si verifica con preoccupante frequenza.
Ogni mese, statisticamente, si impediscono almeno dieci tragedie in ogni istituto, ma spesso queste azioni restano sconosciute al grande pubblico.
Le sfide per la Polizia penitenziaria sono molteplici: tra l’aumento del numero dei detenuti, le tensioni interne agli istituti e le carenze di personale, gli agenti devono affrontare situazioni critiche, spesso senza il supporto necessario.
La sera, ad esempio, quando si verificano i momenti di maggiore fragilità per i detenuti, come i tentativi di suicidio o la ricezione di notizie dolorose, sono proprio gli agenti di Polizia penitenziaria a intervenire.
Non ci sono educatori o assistenti sociali a loro fianco, ma sono loro, con la divisa e con un grande senso di responsabilità, a rappresentare lo Stato in quei momenti di crisi.
In questo scenario, il ruolo della Polizia penitenziaria non è solo quello di applicare la legge, ma anche quello di incarnare un ideale di giustizia che non si limita alla punizione, ma che include anche la possibilità di recupero e reinserimento dei detenuti nella società.
Gli agenti sono chiamati a fronteggiare i criminali più pericolosi, ma allo stesso tempo a comprendere le difficoltà umane di chi si trova dietro le sbarre, affrontando, talvolta in silenzio, drammi personali e collettivi.
La rivendicazione del ruolo della Polizia penitenziaria, quindi, non riguarda solo il riconoscimento della loro professionalità, ma anche la consapevolezza che il loro compito è estremamente delicato e di grande valore sociale.
Lavorano senza clamore, ma con un impegno quotidiano che ha un impatto profondo sulla sicurezza e sulla giustizia del paese.
Il loro è un lavoro che richiede non solo disciplina, ma anche una grande dose di empatia, resilienza e capacità di adattarsi a situazioni estremamente difficili.
In un mondo dove spesso si dà poca attenzione a chi lavora nelle carceri, il Corpo di Polizia penitenziaria merita di essere riconosciuto non solo per il suo ruolo di sorveglianza, ma anche per la sua funzione di supporto e recupero, essenziale per il sistema penitenziario e per la società tutta.
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