Castello Svevo presto la gara per il restauro parziale, ma saranno abbattute mura che raccontano storie. Interviene Antonio Gelardi, dirigente penitenziario.
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Il Castello svevo perderà un pezzo della sua recente storia a seguito dei lavori che dovrebbero essere presto appaltati. Si tratta della superfetazione “carceraria”. A intervenire al riguardo è Antonio Gelardi, dirigente penitenziario, ex direttore della casa di reclusione di Augusta. “Leggo che è in dirittura d’arrivo la prima fase della procedura che porterà ad un primo restauro del Castello Svevo di Augusta e che essa prevede l’abbattimento della superfetazione ” carceraria”. Dico subito che non sono un appassionato delle carceri, lo sono piuttosto della mura che raccontano storie, e tante storie, questo poi lo spiegherò meglio, trasudano dalle vecchie celle, dai cubicoli del vecchio reclusorio . Per questo motivo – dichiara Gelardi – cerco di spendere una parola, sommessa, a favore della conservazione, anche parziale, di parti della vecchia struttura; per questo e per il fatto, personalissimo, di essere stato forse l’ultimo ad avere le chiavi del castello, come coordinatore insieme a Giuseppe Carrabino, dello staff che organizzò, grazie al nulla osta dell’allora sovrintendente ai beni culturali di Siracusa Beatrice Basile, l’evento “Ritorno al castello Svevo” ; e di essere stato quindi un po’ castellano nel mese che portò alla preparazione della manifestazione”.
Antonio Gelardi sottolinea che il problema della scelta della conservazione o della eliminazione delle stratificazioni nelle strutture plurisecolari si è posto rispetto a tanti edifici storici. Il più noto ed illustre in Sicilia è stato quello del palazzo Chiaromonte – Steri nel rione Kalsa a Palermo, che meritò un intervento, fra gli altri, ma fu il più illustre ed appassionato, di Leonardo Sciascia; si trattava allora di conservare o meno le celle dell’inquisizione spagnola, create nel seicento, secoli dopo quindi l’edificazione del castello trecentesco. Fra l’altro Sciascia, “malopensante” di stampo illuminista, riteneva che nel progetto di eliminazione ci fosse una manina talare. Per fortuna le voci critiche vennero accolte e vennero conservate le strutture storiche, nelle quali, secondo le fonti , era passato il meglio del ceto intellettuale siciliano ed ogni forma di dissonanza religiosa intellettuale, sociale: ebrei, luterani, musulmani, quietisti, rinnegati, negromanti, guaritrici, prostitute, ecclesiastici, bestemmiatori, eretici. Nelle celle, per fortuna conservate, è oggi possibile vedere i graffiti che raccontano il dolore e la storia. Il problema del mantenimento della struttura o della sovrastruttura carceraria si è posto anche in sede di restauro di tante vecchie ex carceri, fra le altre le Murate di Firenze, il vecchio carcere di Ferrara, l’ex carcere di San Gimignano, Le Nuove di Torino; ovunque si è dibattuto e in quasi tutti i casi la struttura carceraria è stata, almeno in parte, conservata. Spesso la scelta conservativa è stata dovuta anche all’esigenza di conservare i graffiti apposti alle pareti, dai quali si rilevano momenti di vita vissuta, rabbia, veleni, rancori amori passioni, che il carcerato ha voluto tramandare ai posteri. Non per niente i disegni sono stati definiti tatuaggi murari (( cfr Antonio Parente “ Architettura ed archeologia carceraria” )
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So bene che nel caso del castello svevo vi è un problema di sovraccarico strutturale che contribuisce alla scelta di eliminazione della struttura carceraria, e che questo elemento rafforza le scelte di carattere storico-architettonico. Spendo però due argomenti, anzi tre, i primi due di carattere storico, scusandomi per l’approssimazione non essendo certamente un esperto del ramo. La trasformazione in carcere avvenne nel 1890 dopo svariati anni di lavori di adattamento, prolungatisi poiché il progetto di riforma del nuovo regolamento delle carceri, poi varato nel 1891 rese necessarie alcune modifiche degli spazi. In quell’epoca nei primi decenni successivi alla creazione dello stato unitario vi fu per vari motivi ad un notevole aumento della popolazione detenuta, dovuto a vari motivi, fra cui la persistenza del brigantaggio, il decreto sulla mendicità, la renitenza alla leva, l’introduzione di pene severe per reati contro l’indipendenza, l’unita e la sovranità dello Stato ( cfr La nascita dello stato unitario Roma 2011 ). Da qui la conversione della destinazione d’uso di tanti ex conventi, castelli, fortezze, palazzi signorili; se ne contavano, fra quelli ancora in funzione nel censimento del 1997 ben 55 in totale in tutta Italia.
In questo processo storico che porta una massa di diseredati ad ingrossare le fila della popolazione carceraria si colloca la vicenda del castello riattato a reclusorio. Storie quindi, quelle racchiuse fra le mura, di briganti, di mendici, di resistenti, di ultimi, di invisibili. Storie che sono a pieno titolo parte di un processo storico, quello successivo all’unità d’Italia, di cui ancora si discute.Fra le migliaia di detenuti, e qui il secondo elemento storico, sia pur di storia più recente, vi è stata poi la detenzione di brigatisti rossi. La loro presenza è testimoniata nelle mura delle celle, da disegni, inneggianti alla lotta armata. Credo di non sbagliarmi dicendo che non esistono, in tutto il paese, altre testimonianze grafiche di questo tipo, sul brigatismo, così esplicite ed emblematiche. Un ultimo aspetto riguarda la storia della città : ho sentito tanti augustani raccontare che si recavano al carcere per avere rilegato un libro o per commissionare un mobile o che nella passeggiata lungo il muro di cinta sentivano le voci del carcere. Il rapporto del carcere con la città era, ritengo, patrimonio comune. Con l’edificio in quanto carcere. E’ evidente che ciò aggiunge un aspetto peculiare, unico, rispetto alle altre identità passate certamente di maggior pregio architettonico.
Al rapporto con la città si ispirò infatti il titolo dell’ultimo evento svoltosi nel 2014 nel cortile della torre bugnata “Il ritorno al castello Svevo” . Nel dopoguerra, così mi fu raccontato, la banda cittadina si recava una volta l’anno sotto le mura del carcere per fare ascoltare i brani ai detenuti, e così il concerto del 2014 del coro dei detenuti in permesso fu pensato per percorrere l’itinerario inverso: consentire per una sera alla cittadinanza di riaccedere al carcere per ascoltare della musica e questa volta a cantare erano i detenuti. Mi piace ricordare che al concerto assistette fra le centinaia di persone presenti, il compianto architetto Calogero Rizzuto, succeduto alla Basile nelle funzioni di sovrintendente e che la “pulitura” del cortile della torre da parte dei detenuti rappresentò un pregevole esperimento di lavoro socialmente utile. Ho voluto con queste note, che porto all’attenzione delle autorità competenti, sottolineare aspetti del valore storico della struttura carceraria; la superfetazione che certamente dal punto di vista architettonico ha rappresentato una manomissione (certamente non l’unica però, va aggiunto ) è diventata nel secolo di storia della struttura, testimonianza storica che andrebbe, come avvenuto altrove, conservata nella sue parti significative – conclude Antonio Gelardi – ossia almeno parte dei piani delle celle che incombono sopra il portico”.
Intanto scade domani alle 13 il termine ultimo per partecipare alla gara d’appalto indetta a maggio per il restauro parziale del Castello Svevo. Il bando di gara è stato pubblicato dal dipartimento dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento ha pubblicato il bando di gara con procedura aperta per l’intervento “Progetto di consolidamento, restauro e fruizione del Castello Svevo di Augusta, nell’ambito del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 – Patto per il Sud. Si tratta del primo lotto funzionale relativo al finanziamento di circa 5 milioni. La procedura verrà espletata interamente in modalità telematica. Le offerte devono essere formulate dagli operatori economici e ricevute dall’Urega esclusivamente per mezzo del Sistema di appalti telematici.
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