Agli amanti dei romanzi distopici non sarà di certo sfuggito il romanzo “Warehouse” di Rob Hart, edizioni Dea Planeta.
Un libro di fantapolitica, un thriller, un romanzo sentimentale. Veramente difficile da classificare in un genere rigido. Sicuramente si tratta di un testo di denuncia sociale su quelle che potrebbero essere le condizioni lavorative del futuro: un mondo iper-tecnologizzato e iper-connesso. Ma, in maniera bizzarra, è un futuro che sembra strettamente confinante con il passato. Ci si ritrova immersi, in maniera preoccupante, nei ritmi e negli obblighi della catena di montaggio.
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La trama è avvincente e mai scontata. Tutta la vicenda è ambientata all’interno di MotherCloud: una sorta di villaggio operaio ma dove tutto è computerizzato. Cloud è una grande società multinazionale, un vero e proprio colosso nelle vendite online e della grande distribuzione. Per i dipendenti di Cloud, la vita si svolge tutta al suo interno: oltre al magazzino, cuore pulsante di tutto il sistema, dentro Mothercloud c’è di tutto, dai supermercati ai ristoranti ai luoghi di svago e socializzazione.
Il benessere dato dal possesso di un’occupazione si paga però ad un prezzo altissimo: la moneta di scambio è la propria libertà. I dipendenti sono infatti tutti costantemente monitorati, lavorano duro, come automi, limitando le pause perché questo farebbe perdere loro punti in termini di produttività.
Il controllo digitale pervade anche la vita “privata” dei protagonisti, che non possono sottrarsi al sistema di vigilanza negli spostamenti, neppure quando sono fuori servizio, per via del cloudband, una sorta di braccialetto elettronico.
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“Il CloudBand sarà il vostro migliore amico. Vi servirà per spostarvi all’interno della struttura, aprire le porte, fare acquisti, ricevere indicazioni, monitorare il vostro stato di salute e il battito cardiaco e, soprattutto vi assisterà nel lavoro”.
All’interno di questo scenario si sviluppa la storia dei due personaggi principali: Paxton e Zinnna. I due fanno amicizia all’interno di Cloud e tra mille colpi scena tenteranno, ciascuno a suo modo, di ribellarsi al sistema. Ciò che più colpisce di questo romanzo è la trama sospesa tra il passato e il futuro: il passato è dato dalle condizioni di lavoro disumanizzanti. Il futuro è dato dall’uso distorto della tecnologia: non come miglioramento delle condizioni di vita di tutti ma come forma di controllo sociale e come strumento principale del profitto.
L’effetto normalizzante è dato dalla voce narrante di Gibson, il fondatore e proprietario di Cloud. Qualunque nefandezza, viene giustificata dal suo racconto pacato e mite. Tutto per Gibson è accettabile. Cloud ha dato lavoro e benessere ai suoi dipendenti, anche se li ha resi degli schiavi; ha permesso alle piccole aziende in difficoltà di vendere i loro brevetti, anche se questo ha significato per loro essere fagocitate dal grande colosso: d’altra parte, avrebbero chiuso lo stesso, no? Gibson pensa davvero di aver fatto un regalo al mondo. Di essere la soluzione: in lui viene ostentata la “banalità del male”. Ti rovino, ma lo faccio per il tuo bene.