Estorsione aggravata dal metodo mafioso è l’accusa mossa nei riguardi di 3 persone raggiunte da ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip.
Le indagini sono state condotte dalla squadra mobile di Agrigento e dal Commissariato di Canicattì e hanno preso avvio ad aprile dello scorso anno a seguito del danneggiamento e l’incendio di una saracinesca di un magazzino a Canicattì.
A quanto sembra, gli arrestati, al fine di tutelare gli interessi di un titolare di un’autofficina, anch’egli arrestato, avrebbero costretto la vittima dell’estorsione a non concedere in locazione un magazzino di sua proprietà a un soggetto il quale avrebbe potuto fare concorrenza all’officina già esistente.
Uno dei tre, una volta raggiunta l’abitazione della vittima, ha rimarcato allo stesso l’appartenenza alla stidda ricordando che era lui a comandare.
Uno dei tre è stato già condannato in via definitiva per l’appartenenza alla “stidda”.
L’uomo condannato per l’appartenenza alla stidda è stato indicato da diversi collaboratori di giustizia come inserito nel gruppo stiddaro di Canicattì ed era finito nel mirino della locale consorteria di cosa nostra che puntava ad ucciderlo, sorte toccata proprio al figlio, ucciso dal clan rivale nel corso della guerra di mafia.
Le indagini si sono avvalse anche delle dichiarazioni della vittima e dei suoi congiunti.
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